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I risultati di uno studio Anaao Giovani

Le sale operatorie si tingono di rosa? Dall’analisi comparativa di genere delle scelte delle scuole di specializzazione mediche riferite ai primi 14 scaglioni dell’anno 2017-2018 emerge la forte presenza delle donne in Chirurgia Toracica (61,7% donne contro 38,2% uomini), Chirurgia Generale (57,2% contro 42,7% ), Chirurgia Vascolare (54,8% donne e 43,5% uomini); Ginecologia (76,4% contro 20,7%).Un cambiamento di tendenza nella scelta delle donne che, per il momento, non scalfisce il primato al vertice della classifica dell’Area Medica: Neuropsichiatria Infantile (91,9% donne contro 8,0% uomini), Pediatria (73,3% e 25,6% ), Allergologia (73,1% contro 12,1%), Nefrologia (67,4% contro 31,7%), Geriatria (65,9% contro 31,3%), Medicina d’Emergenza ed Urgenza (65,6% contro 28,9%). E poi Oncologia, Endocrinologia, Radioterapia, Anatomia Patologica, Patologia Clinica, Anestesia e Rianimazione. Nell’insieme, le Scuole di Specializzazione a maggioranza femminile sono 33 pari al 67.33% del totale (49), suddivise in 17 di Area Medica, 5 di Area Chirurgica, 11 di Area dei Servizi.Questi in sintesi i risultati dello studio a cura di Maria Gabriella Coppola, medico di medicina interna e Responsabile Anaao Giovani Campania. Le scuole meno attrattive per le donne sono state: Cardiologia, Ortopedia, Urologia, Chirurgia Pediatrica, Cardiochirurgia, Chirurgia Plastica, Chirurgia maxillo-facciale, Neurochirurgia, Medicina Legale, Radiodiagnostica.In premessa – si legge nello studio – è opportuno ricordare che il numero delle donne vincitrici di contratti di formazione è di gran lunga superiore a quello degli uomini, perché cresce il numero delle donne medico anno dietro anno ed il loro sorpasso nella professione è solo una questione di tempo.Lo studio mette in luce un ulteriore fenomeno su cui riflettere vista la sua dimensione: quello dei decaduti, cioè di coloro che pur avendo vinto il concorso non hanno scelto la Scuola di specializzazione con la forte prevalenza degli uomini (33,42%) rispetto alle donne (16,14%). Le cause delle rinunce – rileva l’indagine – sono da attribuire all’insoddisfazione di non poter scegliere la tipologia di scuola preferita, al rifiuto di sedi ritenute disagiate e costose, all’indisponibilità ad effettuare scelte residuali.
Fonte: askanews.it

L'esperto: pazienti insoddisfatti dal "mini". Trovata giusta misura

Addio look acqua e sapone e silhouette dall’effetto naturale: per il 2020 si torna a preferire il ‘ritocco’ esplosivo. Se fino a qualche tempo fa, infatti, l’ossessione del bisturi aveva ceduto il passo a piccole correzioni, meno invasive e vistose, per il nuovo anno dobbiamo aspettarci un ritorno al passato. Dunque, via libera ancora una volta a labbra carnose e decollete prosperosi, volti dalle sembianze feline e profili tutte curve.“Negli ultimi tempi stiamo registrando un’inversione di tendenza – spiega Daniele Spirito, chirurgo plastico, di Roma, e docente presso la Cattedra di Chirurgia Plastica dell’Università di Milano – dopo alcuni anni di particolare cautela nel desiderio di mettere mano chirurgicamente sul proprio viso e corpo, si sta tornando al macro ritocco. Le richieste di risultati più prorompenti aumentano e il motivo è semplice: il mini intervento alla lunga non soddisfa. Non bisogna però fare confusione – osserva ancora l’esperto – non parliamo di lineamenti stravolti o di impianti oversize, abbiamo toccato la misura giusta per una bellezza appariscente ma senza esagerare”.E allora, sul lettino del chirurgo, il filler lascia spazio al lifting, le donne scelgono zigomi alti, occhi da cerbiatta, seni extra large e labbra voluminose; gli uomini, pettorali scolpiti. “Per il ringiovanimento del viso e del collo – prosegue Spirito – è altissima la richiesta del lifting, in particolare il ‘minilifting composito’ che permette di sollevare i tessuti con un approccio mininvasivo e con un’esposizione minore ma con effetti più duraturi di un intervento tradizionale completo. Negli anni il viso tende a scendere, come sappiamo, per la forza di gravità e perché le ossa diventano più sottili; noi lo riposizioniamo verso l’alto. I rischi di complicanze sono ridotti, il recupero è più veloce e si torna più giovani di dieci anni”.“Per quanto riguarda, invece, il seno – osserva il chirurgo plastico – si sta tornando verso le taglie, terza/quarta coppa C/D, misure abbondanti ma non gigantesche. E lo stesso vale per i glutei, le donne desiderano un posteriore alto, sodo, rotondo e ben proporzionato: in questo senso l’intervento di gluteoplastica con impianti intramuscolari è una tecnica rivoluzionaria, efficace e sicura, con risultati definitivi. Più di nicchia, invece, la richiesta di ingrandire il polpaccio, in caso di gamba eccessivamente sottile. Mentre per gli uomini l’ultima tendenza riguarda i pettorali: sempre più ragazzi chiedono di sottoporsi all’innesto di protesi pettorali per avere fisici statuari senza troppi sforzi”.
Fonte: askanews.it

Aperto a Roma il Congresso dei cardiologi SIC

Le malattie cardiovascolari sono responsabili di oltre quattro milioni di decessi in Europa ogni anno. Nuove evidenze hanno confermato che l’evento chiave di inizio dell’aterosclerosi è l’accumulo di colesterolo “cattivo” chiamato colesterolo LDL all’interno delle arterie. Molti studi clinici hanno recentemente dimostrato che abbassare ulteriormente il colesterolo LDL, oltre i livelli che fino a pochi anni fa si ritenevano accettabili, determina un effetto benefico con riduzione del rischio cardiovascolare. Ne discutono esperti a Roma in occasione del Congresso nazionale numero 80 della Società Italiana di Cardiologia – SIC.I pazienti a maggior rischio – spiegano gli specialisti – sono quelli con malattia aterosclerotica cardiovascolare, quelli che già hanno avuto un infarto cardiaco, i portatori di stent o chi sia stato già sottoposto ad intervento chirurgico di by-pass. Sono inoltre ad alto rischio i pazienti con diabete che abbiano già manifestato complicanze in altri organi, quelli affetti da ipercolesterolemia familiare o grave malattia renale cronica. A tutti questi pazienti è fortemente raccomandata una terapia più intensiva per abbassare i livelli di LDL. Inoltre, gli ultimi studi clinici hanno chiaramente indicato che più bassi sono i valori LDL-C raggiunti, più basso è il rischio di futuri eventi cardiovascolari. Al fine di essere in linea con questi nuovi risultati la Società Italiana di Cardiologia propone i nuovi obiettivi per quanto riguarda la riduzione del colesterolo LDL, nonché una riveduta stratificazione del rischio cardiovascolare, particolarmente rilevante per i pazienti ad alto e altissimo rischio. Nuove Linee guida che forniscono importanti novità che avranno un grande impatto su numerosi soggetti e pazienti affetti da ipercolesterolemia.“Il primo messaggio è quello di abbassare il colesterolo il più presto possibile, specialmente nei pazienti a rischio alto o molto alto – afferma Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia – oggi abbiamo prove schiaccianti che ci derivano da studi fisiopatologici, epidemiologici, genetici e da studi di popolazione che l’aumento del colesterolo LDL è una potente causa di infarto e ictus. La riduzione del colesterolo LDL riduce il rischio indipendentemente dai livelli di base. Ciò significa che nelle persone ad alto rischio di infarto o ictus, ridurre il colesterolo LDL è efficace anche se hanno livelli di partenza inferiori alla media. Questa è la grande novità rispetto al passato”.Insomma, una certezza consolidata nella gestione clinica dell’ipercolesterolemia dice che più basso è il colesterolo, migliore è la prognosi. Chiarisce Pasquale Perrone Filardi, Presidente eletto della SIC: “Le linee guida mirano a garantire che i farmaci disponibili (statine, ezetimibe, inibitori del PCSK9) siano utilizzati nel modo più efficace possibile per abbassare i livelli nei soggetti più a rischio. Si raccomanda che tali pazienti raggiungano sia un livello target di colesterolo LDL che una riduzione relativa minima del 50% dei valori basali”.
Fonte: Askanews.it

A rischio anche le terapie

“La carbonara risolve le ipoglicemie”. “Con la dieta del gruppo sanguigno si può dire addio ai farmaci per il diabete”. “I cerotti anti-diabete della medicina cinese possono sconfiggere la malattia”. “L’insulina fa diventare ciechi e crea pure dipendenza, come una droga”. Il web e i social pullulano di notizie di pura fantasia in materia di diabete e i pazienti, a caccia di suggerimenti sull’alimentazione, informazioni per la prevenzione oppure su dispositivi medici, cause e sintomi della malattia, finiscono per incapparci spesso. Secondo le stime, i 4 milioni di diabetici italiani sono prima o poi esposti a una delle tante fake in materia: il 60% delle notizie infatti che circolano in rete è una vera e propria bufala che non ha neppure un vago fondamento scientifico, totalmente scorretta dal punto di vista medico. Contro il diabete però la prima cura è una corretta informazione: ecco perché combattere le fake news è il tema del corso di formazione per giornalisti ‘Diabete e ipoglicemia severa, come raccontarli: parole, numeri e prospettive’, organizzato con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio e il contributo non condizionante di Eli-Lilly.“Tra le fake news vi sono le abitudini alimentari, dai cibi che vengono millantati come miracolosi ritrovati anti-diabete alle diete più fantasiose per risolvere la malattia – osserva Rita Stara, Vicepresidente Diabete Italia – purtroppo in alcuni casi questi suggerimenti del tutto privi di fondamento possono esporre i pazienti a rischi concreti: tantissimi per esempio hanno seguito prima o poi un’alimentazione iperproteica, ma ai diabetici fa male perché affatica i reni e aumenta il rischio di chetoacidosi metabolica. Un conto è suggerire un’alimentazione ricca di fibre e vegetali e ispirata alla dieta mediterranea, tutt’altro è indicare come risolutive prassi dietetiche del tutto prive di riscontro scientifico, per esempio la dieta del gruppo sanguigno”.Le fake news inoltre tendono il loro agguato non solo sul versante della prevenzione e dello stile di vita, ma anche su quello delle terapie: in questo caso possono essere perfino più rischiose, come aggiunge Roberta Assaloni, Past Presidente Associazione Medici Diabetologi (AMD) Friuli Venezia Giulia: “Un esempio è il mito dilagante dei ‘prodotti naturali’ come i nutraceutici, che sono spacciati come anti-diabetici o addirittura come sostituti dell’insulina, ormone salvavita. Tante sono anche le bufale sull’ipoglicemia, una della complicanze più frequenti del trattamento farmacologico del diabete che interessa sia pazienti con diabete di tipo 1 che di tipo 2, in particolare quelli in terapia insulinica, con costi diretti in Italia di 23 milioni l’anno e 16.000 accessi al pronto soccorso. Molte fake news riguardano i possibili rimedi per evitare che la glicemia scenda troppo, come può accadere in chi è in cura con insulina o con alcuni farmaci orali. In particolare viene spesso generata confusione sul trattamento dell’ipoglicemia severa, ossia quella che richiede l’intervento di una terza persona per essere risolta e che colpisce fino all’80% di pazienti diabetici tipo 1 almeno una volta nella vita”.Tra le cause principali di ipoglicemia c’è la mancata osservanza di una dieta corretta, come saltare o ritardare il pasto oppure mangiare meno di quanto previsto, un eccesso di attività fisica o anche un errore nel calcolo della dose di insulina. “Nei bambini con diabete e nelle loro famiglie la paura dell’ipoglicemia è uno dei fattori principali nella non accettazione della malattia – interviene Riccardo Schiaffini, Dirigente Medico del U.O. di Diabetologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e coordinatore nazionale del Gruppo di Studio Diabete della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) – l’ipoglicemia è un’evenienza molto pericolosa, perché il calo rapido degli zuccheri nel sangue determina un forte malessere con sudorazione, tremore, senso di freddo o brividi, senso di fame, batticuore, ansia, irritabilità, confusione mentale, difficoltà a parlare, vista annebbiata, capogiro o mal di testa. Se non si interviene alla svelta, in alcuni casi si può avere una perdita di coscienza (svenimento) e nei pazienti più fragili o con altre malattie l’ipoglicemia può perfino risultare fatale”.
Fonte: Askanews.it

Seconda causa di morte sotto 14 anni, ma oltre l'80% pazienti guarisce

Ogni anno, in Italia, i tumori colpiscono 1.400 bambini da 0 a 14 anni e circa 800 adolescenti tra i 15 e i 18 anni. Sono la seconda causa di morte tra i più giovani (0-14 anni), ma grazie al progresso della ricerca e delle cure, oltre l’80% dei pazienti guarisce. Nel numero speciale di ‘A scuola di salute’, il magazine digitale a cura dell’Istituto per la Salute del Bambino Gesù, diretto da Alberto G. Ugazio, gli esperti dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede hanno riassunto le informazioni sulle patologie oncoematologiche più frequenti nei bambini e negli adolescenti, sui percorsi di cura, sul significato di alcuni esami diagnostici e sulla preparazione necessaria per eseguirli.“L’obiettivo di questa breve guida è fornire uno strumento di orientamento nel mondo dell’onco-ematologia pediatrica alle famiglie che devono improvvisamente affrontare una realtà nuova e difficile come quella che si configura dopo una diagnosi di neoplasia”, spiega il prof. Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia del Bambino Gesù. “Un periodo in cui c’è la necessità urgente di intraprendere un percorso di diagnosi e di cura che passa attraverso esami clinici e strumentali che richiedono una grande collaborazione da parte del bambino e della sua famiglia. La comunicazione trasparente con le famiglie e con i bambini e i ragazzi in cura è fondamentale nel percorso terapeutico. Le indicazioni contenute in queste pagine rappresenteranno degli spunti importanti e utili per facilitare il dialogo tra personale sanitario, famiglia e paziente e, quindi, in ultimo, per costruire l’alleanza terapeutica fondamentale in questo impegnativo percorso”.
Fonte: Askanews.it
 

Passeggiate mattina e sera, parco: glicemia e colesterolo migliorano

Una passeggiata al mattino e una alla sera, i giochi al parco, qualche gita fuori porta nel fine settimana. E così Fido diventa un’occasione di benessere e salute: chi possiede un animale domestico ha il cuore più in forma rispetto a chi non ha in casa un quattrozampe. Lo segnalano gli esperti in occasione del 64° Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), a Roma dal 27 al 30 novembre, indicando che soprattutto per gli anziani un pet può essere un vero alleato per la salute: specialmente chi ha un cane si muove di più, è più attento alla dieta ed è mediamente un po’ più in forma rispetto a chi non ha un ‘peloso’ in casa e questo può diminuire in maniera consistente il rischio di problemi cardiovascolari.“Una recente ricerca condotta su quasi duemila persone ha confermato che possedere un animale domestico è positivo per la salute, specialmente se si tratta di un cane – spiega Raffaele Antonelli Incalzi, presidente SIGG – i dati raccolti mostrano infatti che avere un pet porta a modificare in meglio il proprio stile di vita: la necessità di portare a spasso Fido, per esempio, fa sì che il 62% dei padroni faccia una quantità ottimale di attività fisica giornaliera, un altro 29% un movimento comunque sufficiente: chi non ha un cane si muove quanto dovrebbe nel 47% dei casi, arriva a una quantità di moto appena sufficiente nel 35%. Anche l’attenzione all’alimentazione è maggiore in chi deve prendersi cura di un pet: la dieta è ideale o comunque buona nel 91% dei proprietari di un quattrozampe, ma solo nell’83% di chi non ne ha uno. Questo miglioramento dello stile di vita si ripercuote su parametri come la glicemia, sensibilmente migliore nell’84% di chi ha un cagnolino contro l’80% di chi non ne ha uno, oppure i livelli di colesterolo, ottimali nel 45% di chi ha un cane e solo nel 40% di chi non ne ha”. Soltanto il fumo sembra più frequente fra i padroni di Fido, amanti della sigaretta nel 27% dei casi contro il 22%; nonostante questo, tuttavia, i dati mostrano che in generale gli elementi di rischio cardiovascolare sono meno presenti nei proprietari di animali domestici, che in media per esempio hanno un girovita inferiore e sono meno spesso ipertesi. Tenendo conto dei sette parametri per la valutazione del rischio cardiovascolare complessivo indicati dall’American Heart Association, ovvero livello di attività fisica, fumo, alimentazione, indice di massa corporea, pressione arteriosa, colesterolo e glicemia, chi possiede un cane ha perciò un ‘punteggio’ migliore rispetto a chi ha un altro tipo di animale domestico o non ne ha affatto.“I cani hanno bisogno di essere portati spesso a passeggiare, per questo sicuramente incidono in maniera positiva con lo stile di vita. I dati confermano peraltro ricerche precedenti secondo cui l’interazione con un cane riduce la pressione negli anziani – osserva Antonelli Incalzi -. Non bisogna poi sottovalutare il benessere psicologico regalato dagli amici pelosi: gli anziani soli possono trovare in un fedele compagno di vita una ragione per uscire di casa ma anche un vero amico, trovando così un senso alle proprie giornate e un antidoto alla solitudine. Gli studi mostrano che gli over 65 che possiedono un cane o anche un gatto soffrono meno di isolamento sociale, hanno minori sintomi di depressione, ansia e deficit cognitivi ma pure un benessere psicologico maggiore e una significativa resilienza di fronte a eventuali disturbi neuropsicologici: un pet è infatti uno stimolo continuo anche per la mente e, se l’anziano è in grado di prendersene cura, ha certamente il potenziale per migliorare il benessere e la salute fisica e mentale del suo padrone”.
Fonte: Askanews.it

Sensori glicemia gratis solo in Emilia Romagna

Grandi difficoltà per i pazienti senza stomaco a causa di un tumore e grande attesa per gli esiti del voto su un emendamento alla Legge di Bilancio che prevede un rimborso di 11 milioni per i supporti nutrizionali. A lanciare il grido di allarme è l’Associazione Vivere senza stomaco si può ODV in occasione del 4° Convegno Nazionale sul tumore gastrico I diritti del paziente con tumore gastrico, in corso a Roma.I pazienti chiedono omogeneità ed equità di accesso alle cure e soprattutto che sia accolto l’emendamento alla Legge di Bilancio presentato dalla Senatrice Paola Boldrini, perché in tutta Italia siano rimborsati integratori indispensabili per chi è costretto a vivere senza lo stomaco. Altrettanto indispensabile che siano stabiliti Piani Diagnostico Terapeutici Assistenziali strutturati per i pazienti con tumore gastrico, a oggi presenti in pochissimi ospedali e Regioni. Inoltre solo in Emilia Romagna i malati potranno accedere ai sensori per il monitoraggio della glicemia, necessari perché i livelli sono molto variabiliVenti Regioni, venti destini diversi per i circa 80 mila pazienti che non hanno più lo stomaco per colpa di un tumore gastrico: la possibilità di accesso agli alimenti ai fini speciali spesso indispensabili per questi malati, cambia da una Regione all’altra. Rari gli esempi di Regioni che abbiano pensato a percorsi o iniziative specifiche per l’assistenza dei pazienti. L’Emilia Romagna, per esempio, è l’unica dove è prevista l’erogazione di sensori per il monitoraggio della glicemia ai pazienti senza stomaco: un presidio necessario, perché la glicemia nell’arco della giornata ha sbalzi spesso molto consistenti che possono portare a crisi ipoglicemiche gravi. Così l’Associazione Vivere senza stomaco si può Onlus, chiede che si guardi agli esempi regionali virtuosi e soprattutto che sia accolto l’emendamento alla Legge di Bilancio della Senatrice Paola Boldrini, che prevede un rimborso di 11 milioni per supporti nutrizionali.“Gli integratori rappresentano un presidio fondamentale per la nutrizione delle persone che hanno subito una gastrectomia perché in grado di consentire un equilibrato e corretto apporto di nutrienti anche in assenza totale o parziale dello stomaco. Tuttavia vi è ancora un trattamento differenziato da Regione a Regione che di fatto discrimina i pazienti a parità di condizione. Secondo una stima dell’Associazione Italiana Registro Tumori, sono oltre 3.000 i pazienti esclusi dalla rimborsabilità degli integratori su territorio nazionale – spiega Claudia Santangelo, presidente della Onlus – la nostra Associazione lancia perciò un appello per chiedere che le differenze regionali vengano superate per garantire a tutti i malati omogeneità ed equità di accesso alle cure e soprattutto il diritto a una nutrizione controllata dopo la chirurgia. Per questo l’approvazione dell’emendamento presentato dalla Senatrice Paola Boldrini costituirebbe per noi una vera rivoluzione” aggiunge Santangelo.L’emendamento prevede infatti la rimborsabilità dei supporti nutrizionali di qualsiasi tipo per i pazienti con tumore allo stomaco che abbiano avuto una resezione gastrica, in tutte le Regioni e non a discrezione delle amministrazioni locali come avviene adesso. “Nel nostro Paese è sempre più difficile applicare in maniera uniforme uno dei diritti fondanti della nostra Costituzione, il diritto alla salute – interviene la Senatrice Paola Boldrini – nel caso dei pazienti con tumore gastrico è ancora più evidente, sia perché non se ne parla abbastanza sia perché c’è poca attenzione al loro stato nutrizionale nel corso delle terapie oncologiche. L’alimentazione nel paziente con patologie oncologiche dell’apparato digerente è fondamentale per una migliore qualità di vita e per una maggiore aderenza alle terapie: per questo ho ritenuto opportuno portare avanti una battaglia, in sede di sessione di bilancio, che permetta la rimborsabilità dei supporti nutrizionali per i pazienti oncologici senza stomaco in tutte le Regioni. Oggi queste persone ricevono un trattamento differenziato da Regione a Regione, di conseguenza a parità di condizione non tutti i cittadini hanno pari diritti. La condizione ideale sarebbe il riconoscimento anche nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), ma in attesa di centrare questo obiettivo è mio dovere lavorare affinché i supporti nutrizionali, vitali in alcuni casi, siano rimborsati in tutto il Paese”.
Fonte: Askanews.it

Attenzione all'igiene prima di tutto. No al pisolino senza toglierle

Acquistate le lenti a contatto, il paziente dovrà gestirle autonomamente. Il primo obiettivo per lui sarà quello di imparare ad applicarle e a rimuoverle senza esitazioni, per esempio nel caso in cui diano fastidio o sia presente un corpo estraneo nell’occhio. “Per maneggiare le lenti e tutto ciò che riguarda la loro conservazione – avverte Pasquale Troiano, Direttore Unità Operativa Complessa di Oculistica – Ospedale Fatebenefratelli di Erba e Consigliere SOI – come i flaconi per la manutenzione e i contenitori, è assolutamente necessario avere le mani pulite. Immediatamente prima, occorre quindi lavare e asciugare accuratamente le mani. Raccomandare il lavaggio delle mani può essere quasi scontato, mentre raccomandare l’asciugatura lo è certamente meno: pochi ci pensano, ma l’acqua che può rimanere sulle dita dopo il lavaggio, non è sterile!!! La soluzione migliore è quindi utilizzare tovagliette usa e getta in carta, evitando gli asciugamani e anche i getti d’aria che possono essere contaminati da una notevole carica batterica”.“Altre raccomandazioni fondamentali per la salute dell’occhio – prosegue – riguardano la gestione delle lenti monouso, pensate per essere indossate la mattina e tolte la sera. Una volta rimosse, le lenti monouso non sono più utilizzabili e vanno pertanto buttate, perché le loro caratteristiche costruttive non ne permettono una corretta manutenzione senza un conseguente danneggiamento. Occorre ricordare anche una semplice norma per garantire alla superficie oculare una corretta ossigenazione: bisogna applicare le lenti a contatto il più tardi possibile dopo il risveglio e rimuoverle il prima possibile prima di dormire. Il motivo per cui, dopo pochi minuti di applicazione, la presenza della lente non si avverte più è che essa riduce così tanto la concentrazione di ossigeno a livello della superficie oculare che le terminazioni nervose della cornea smettono di funzionare. Una mancanza di ossigenazione simile si riproduce quando la palpebra è abbassata, anche se una minima concentrazione di ossigeno sulla superficie oculare è garantita dai vasi sanguigni della palpebra superiore. È quindi fortemente consigliabile lasciare qualche ora gli occhi senza lenti durante la veglia, evitando così una condizione di ipossia cronica della superficie oculare che può condurre a una serie di problematiche anche abbastanza rilevanti sul piano clinico. Pericolosissimo è il pisolino con le lenti a contatto applicate; prima di dormire anche se per poco tempo è assolutamente necessario rimuovere le lenti a contatto.Infine – conclude il professore – una norma che può sembrare di buon senso, ma che viene spesso disattesa: quando si avverte un qualsiasi disturbo agli occhi, bisogna evitare d’indossare le lenti. È esperienza comune per gli oculisti visitare pazienti che si presentano in ambulatorio con gli occhi in pessimo stato ma con le lenti indossate”.
Fonte: Askanews.it

Protesi per giovinezza duratura, filler per bellezza momentanea

Sempre più persone cedono al ritocco ma quando si tratta del viso la domanda è sempre la stessa: protesi facciali o punturine? La risposta può nascondere insidie e prima di sottoporsi a trattamenti o interventi per ripristinare i volumi del volto è bene tenere a mente alcune indicazioni.“Esiste un’enorme differenza tra filler e impianti: i filler donano bellezza mentre gli impianti facciali restituiscono giovinezza. Cosa ancora più importante, il filler agisce sui tessuti molli, con un’azione temporanea e comporta rischi nella ripetizione delle punture oltre quelle, spesso minimizzate di reazioni avverse per accidentale coinvolgimento della sostanza in un vaso sanguigno. Le protesi, invece, vero che trattasi di intervento chirurgico ma ricostruiscono l’inevitabile assorbimento osseo rendendo il volto più giovane di dieci anni per tutta la vita”, ha spiegato Daniele Spirito, chirurgo plastico, di Roma, e docente presso la Cattedra di Chirurgia Plastica dell’Università di Milano, che ha trattato l’argomento al IX Corso Apira Medical di chirurgia Plastica e Medicina estetica, che si è tenuto a Napoli.Dunque per correggere la convessità temporale, ripristinare zigomi, correggere le borse sotto gli occhi o avere una mascella più pronunciata, perfino aumentare il labbro qual è la scelta più indicata? “Spesso le persone preferiscono il filler perché è un trattamento rapido e poco costoso; l’impianto, invece, è un intervento chirurgico, seppure eseguito in day hospital e anestesia locale – prosegue l’esperto – .Bisogna sottolineare che l’effetto del filler dopo sei mesi svanisce, dona quindi una bellezza effimera delle parti molli. Man mano che l’età avanza il viso si assottiglia, l’osso si assorbe, quindi gli impianti possono garantire un risultato migliore: protesi temporali, mandibolari, zigomatiche, sottorbitali hanno l’effetto di ripristinare l’osso con uno spessore di pochi millimetri di silicone duro regalando dieci anni di giovinezza”.“Sottoporsi a un intervento chirurgico, per quanto sia più invasivo di una punturina, ha infatti dei vantaggi – osserva ancora il professore – il risultato è durevole nel tempo perché la protesi non si riassorbe e una volta raggiunti i 60 anni facilmente se ne dimostrano 40-45. Utilizzando il filler, invece, per prolungare il risultato è necessario intervenire più volte nel corso del tempo e nella ripetizione si può andare incontro a problemi tardivi insiti nella ripetizione periodica. I filler che durano tanto inoltre, anche un anno, rischiano dunque di portare reazioni avverse e, quando si tratta di iniettare grossi quantitativi, i rischi aumentano”.
Fonte: Askanews.it

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